lunedì 25 febbraio 2013

i miei racconti: Un giorno di fine maggio


Un giorno di fine maggio Ugo da sopra il poggio staccava piccoli rametti con ciliegie mature e li buttava alle donne che stavano lavando i panni.

Cadevano sempre nel’ acqua saponata della pozza e dopo averle afferrate, prima di mangiarle andavano a lavarle sotto il fresco getto della fontana.

Ugo guardava curioso l’Ofelia mentre si sbracciava per afferrare i rametti e staccava con la bocca golosa i frutti.

Quando pure lui fu sazio di ciliegie scese dal’albero e s’appoggiò con la schiena al tronco.

Mentre le donne con le mani stavano lavando i propri panni e con la bocca quelli di tutto il paese Ugo s’addormentò.

 Ad un tratto sentì lungo la gamba sinistra una specie di freddo formicolio e davanti a lui seduta nel fieno da tagliare c’era l’Ofelia.
La sua piccola mano fredda e bagnata gli saliva, piano piano e insicura ,lungo la gamba.

 Era una mano che accarezzando graffiava un po’e quel salire lento ,freddo e leggermente graffiante l’eccitava .
Quando la mano raggiunse l’inguine fu proprio l’eccitazione che svegliò Ugo.

Si rese subito conto d’esser solo ma qualcosa di freddo stava lì aggrappato alle sue parti intime, s’alzò in piedi e si calò i pantaloni bestemmiando.

 Ugo era in piedi ,nudo e imprecante perché un grosso ramarro gli stava lì ed era spaventato non meno di lui cosa che per staccarlo lo costrinse ad armeggiare un po’.

 Le donne che lo videro toccarsi in quel modo non avevano capito pensavano a gesti chiaramente osceni.

Chi facendosi il segno di croce e chi dandogli dello schifoso si presero i  propri panni lavati e da lavare e se ne tornarono in paese.

 Solo l’Ofelia era rimasta lì, dritta e immobile a fissarlo, a tenerla bloccata non fu la paura ne lo schifo,come si disse poi; fu semplicemente la curiosità ,perché l’unica nudità maschile che avesse mai visto era quella dei bimbi piccolini e mai quella di un uomo eccitato. 

La notizia arrivò in paese assieme alle donne e presto tutti ne furono a conoscenza.

La mattina dopo , di buon ora, il padre dell’Ofelia fermò Ugo che si stava recando alla cava.

Cominciò a imprecare e minacciare, nonostante l’altro cercasse di spiegargli l’accaduto, l’uomo non intendeva ragione e l’accusava d’aver turbato l’innocenza della figlia e d’averla spaventata.

Quando il padre dell’Ofelia tirò in ballo le autorità e il tribunale già sapeva l’effetto che la cosa avrebbe fatto ad Ugo; uomo tranquillo e senza vizi.

Da quando era morta sua zia il giovane viveva da solo,orgoglioso soltanto d’avere in paese il più numeroso e bel gregge specialmente dopo aver acquistato in Garfagnana tre pecore gravide e di buona qualità .

Furono proprio quelle tre pecore migliori che volle il padre dell’Ofelia per mettere a tacere le cose .

Fu cosi che l’Ofelia sempre più curiosa e sempre meno innocente qualche anno dopo quando andò in moglie ad Ottavio gli portò in dote nove pecore di buona qualità.

oggi neve!





Visto che oggi scende giù la neve ho fatto una bella torta.




i miei racconti: Una tardiva lettera ( primo post)

                                                               

Una tardiva lettera
          
Erano le mani del padre , mai alzate su di me per una carezza, mai alzate su di me per punirmi. Mani torte, larghe come attrezzi da lavoro, di cavatore e contadino con un pollice che mancava per metà e due vecchie cicatrici confuse tra le rughe.

Ora che non ci sei e la mia età si fa vicina alla tua comincio a capire.
 Non sopportavo la tua indifferenza.

Ora comincio a capire che la tua era accettazione , era resa là dove non si può lottare contro la morte che ci porta via un figlio o la grandine che distrugge il lavoro di una stagione.

Ricordo di una volta che, con un rastrello in mano , stavo guardando una vipera mentre tu non visto da me mi stavi osservando e mi hai detto: ”Non ammazzarla perché se l’hanno messa al mondo si vede che a qualcosa serve”.
Non avevi studiato il rispetto per la natura ma lei faceva parte di te da sempre.
         

                                   Poteva esser un antico canto.
                                   Poteva esser cielo o pietra
                                   Tempo che non muore.
                                          
                                   Ma è solo un torto tralcio
                                   Predato de’ suoi frutti
                                  Che s’orla d’un silenzioso pianto
                                   Mentre dalle stoppie arse
                                   Sale l’ultimo filo d’incenso
                                   A benedire il giorno che muore
                                   Al limitar del campo.